Dietrich v. Engelhardt

Storia culturale del dolore

 

Traduzione di Ilaria Musco


 

INTRODUZIONE

Il dolore é natura e cultura, é sofferenza dell’uomo, é la sua percezione ed i suoi tentativi di superarlo, é la sua interpretazione scientifica, artistica, filosofica e religiosa. Sin dall’antichità si può parlare di un concetto del dolore/ Il medioevo e l’età moderna danno le loro interpretazioni e compiono i primi passi concreti per combattere il dolore soprattutto nel campo della medicina.

Come nel caso di molti altri fenomeni, anche per il dolore vale il concetto secondo il quale le condizioni su aspetti sistematicamente importanti. Nell’antichità il dolore veniva definito come il "cane che col suo abbaiare fa la guardia alla salute". Dal punto di vista cristiano il dolore é la conseguenza inevitabile della cacciata dal paradiso.

Un medico del XIX secolo deplora la "terribile solitudine" nella quale si sono immersi lui e i suoi colleghi con lo sviluppo dell’anestesia. Il chirurgo René Leriche nega il "senso" del dolore e parla di una "doleur maladie". Con il motto "Il dolore passa, ma l’aver sofferto mai", il medico antropologo Buytendijk vuole ricordare la dimensione umana del dolore.

La ricchezza linguistica varia di popolo in popolo. La lingua araba possiede 500 espressioni per indicare l’infelicità e la sofferenza.

 

L’antichità

Nell’antichità il dolore é un soggetto sia della filosofia che della medicina. Nel culto di Adoniso il dolore é considerato divino e, allo stesso tempo, interpretato come strumento della soggettività individuale. Secondo Budda la vita é dolore; gli dei greci soffrono; anche per la religione cristiana il dolore ha un ruolo essenziale.

Pitagora sottomette la malattia ed il dolore alla libertà dell’uomo con la constatazione "che gli dei non hanno alcuna colpa delle sofferenze e che tutte le malattie e dolori del corpo sono il prodotto delle dissolutezze". Platone e Aristotele imputano il dolore al divertimento ed alle passioni, disconoscendogli in questo modo un significato proprio.

Sin dall’antichità il dolore viene concepito sia come dolore del corpo che dell’anima. La morte di Laocoonte ha emanato il suo fascino nelle arti, nella letteratura e nella filosofia persino nei tempi moderni. Come dice un epigramma del poeta greco Automedone, la felicità come liberazione dal dolore dell’anima può essere raggiunta principalmente per mezzo di tre cose: innocenza, celibato e mancanza di figli". Questo epigramma getta sul celibato una luce inusuale e più piacevole. Nell’antichità al dolore viene attribuito anche un significato sociale, come un appello al mondo circostante ad assistere e aiutare. Non solo l’uomo e l’animale, anche la pianta deve poter provare dolore.

Quanta importanza Ippocrate attribuisse all’attenuazione del dolore ci appare chiaro dal suo discorso sull’opera divina della mitigazione del dolore ("Divinum opus sedare dolorem"). Il dolore rappresenta una sfida per il medico, la sua terapia vi trova uno scopo fondamentale. Galeno interpreta il dolore nel classico schema a quattro elementi qualità e liquidi e in base a questo schema determina anche la terapia. L’oppio é già noto agli antichi come narcotico. Un gran dolore deve poterne eliminare uno minore.

Famosa é l’osservazione di Epicuro sul rapporto che esiste tra la quantità e l’intensità del dolore : "Si longus levis, si gravis bevis". Seneca sostiene a sua volta questo rapporto con la frase : "nessuno può sopportare dei dolori forti e di lunga durata: così la natura, nella sua grande bontà, ci ha creati in modo che essa possa rendere il dolore sopportabile o di breve durata".

Anche Goethe esprime pensieri simili in una lettera scritta a sua madre il 28-6-1777, dopo la morte dell’amata sorella Cornelia: "Posso soltanto avere sentimenti da essere umano e mi abbandono alla natura che ci fa provare un forte dolore solo per breve tempo e tristezza a lungo".

 

Medioevo

Il medioevo dà al dolore una prova e più profonda dimensione secondo la prospettiva teologica. Decisivo é il rapporto con l’aldilà: dietro ogni dolore, come dietro ogni malattia, c’é il Cristo sofferente (passio Christi). Secondo Hegel la religione cristiana ha inizio "dalla divisione assoluta e scopre il dolore nel momento in cui rompe l’unità naturale dello spirito e distrugge la pace naturale".

Le rappresentazioni figurative del dolore destano una grande impressione, come ad esempio l’ "ecce homo", oppure la "Maria addolorata", nel Giobbe dell’Antico Testamento o nei martiri cristiani. Il peccato originale, la colpa personale e il mettere alla prova da parte di Dio sono le vere cause della malattia e del dolore. Le anomalie sessuali causano la ferita di Anfortas, la richiesta di pietà di Parsifal la fa richiudere.

Nelle sue "Confessioni" Agostino mette in guardia da un’idealizzazione del dolore già all’inizio del Medioevo: "Si può accettare un dolore, ma non esiste uno che potremo amare". La liberazione dal dolore, l’insorgere del dolore ed il superamento del dolore sono riferiti al processo escatologico dal paradiso (constitutio), attraverso la storia del mondo (destitutio), fino al momento finale celeste (restitutio). Si ribadisce sempre la mortificazione della carne e la flaggellazione ad imitazione di Cristo.

Il medico, come anche l’uomo qualsiasi, contano sulla "misericordia" e sulla "caritas" secondo il Vangelo di Matteo: "ero malato e mio avete visitato". La pietà e la sofferenza per il dolore altrui.

Secondo Origene la partecipazione al dolore del malato deve poter crescere fino a diventare una pietà fisica e una tristezza comune ("infirmari cum infirmante, fiere cum flente").

Testimonianze bibliografiche, raffigurazioni artistiche e scritti di chirurgia attestano le dolorose condizioni in cui si svolgevano le operazioni. Il dolore é un tema importante anche nella medicina araba; Avvicenna distingue quindici tipi diversi di dolore.

 

L’età moderna

Con la secolarizzazione del rinascimento tutto lo sviluppo moderno subisce l’importanza del contrasto tra la liberazione dal dolore e la sua interpretazione. Bacone e Cartesio trovano delle possibilità finora insospettate per prolungare la durata della vita ed evitare la malattia e la sofferenza, a volte persino la morte.

"La fonte dell’eterna giovinezza" (1546) di Lucas Cranach é un’illustrazione figurativa di queste speranze. Blaise Pascal fa invece derivare dall’idea del "mondo ad imitazione di Dio" il concetto secondo il quale non solo la perfezione, ma anche i difetti del mondo sono necessari.

Montaigne é convinto di aver tratto vantaggio dalla sua colica, "così essa terminerà quello che io non era riuscito a fare, rassegnarmi alla morte e familiarizzarci". Montaigne e Pascal trovano entrambi nel dolore un valore positivo, l’uno dal punto di vista stoico, l’altro da un punto di vista cristiano.

Nel XIX secolo Nietsche criticherà il cristianesimo, "la sofferenza non deve essere considerata come una parte inevitabile dell’esistenza, al contrario bisogna riuscire a domarla", perché considerando la sofferenza nella "prospettiva della colpa" se ne presentano sempre delle nuove. Per il XVIII secolo dell’illuminismo si pone l’interrogativo provocatorio - risolto in parte dal terremoto di Lisbona del 1755 - di un Dio che ammette l’infelicità e il dolore. Il dolore é individualizzazione e solitudine.

Nel suo autoritratto Dürer raffigura lo sbigottimento del sofferente: "lì dove c’é quella macchia gialla, lì mi fa male".

Molteplici sono i tentativi compiuti nell’età moderna di superare il dolore. Paracelso scopre l’effetto analgesico dell’etere, alcuni chimici a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo studiano gli effetti del gas esilarante. Intorno al 1790 il medico G.Wilson parla del dolore multidimensionale provato dall’amputazione della gamba: "Non voglio dire niente dei dolori atroci che ho provato. Una simile sofferenza non può essere espressa a parole e fortunatamente non la si può ricordare nel pieno della sua forza. I singoli passi sono ormai dimenticati, ma il "vortice" nero delle emozioni, la paura e l’oscurità, soprattutto la sensazione di essere stato abbandonato da Dio e la disperazione che ne risultava mi soffocavano lo spirito e mi opprimevano il cuore".

Accanto alla generale secolarizzazione di fondo, la separazione cartesiana del corpo dall’anima si dimostra ricca di conseguenze per la medicina moderna nello studio del dolore;Cartesio si occupa dell’insorgere del dolore e trova una motivazione anche per il dolore immaginario che era già stato descritto dal chirurgo Ambroise Paré nel 1552.

Il sistema nervoso ha un ruolo fondamentale, tuttavia la percezione del dolore ancora non si spiega con la trasmissione nervosa dello stimolo del dolore. E’ in questa direzione che Haller conduce le sue ricerche fisiologiche nel XVIII secolo, Magendie compie i suoi studi nel XIX secolo e altri scienziati offrono il loro contributi fino ad arrivare alla nostra epoca. La constatazione da parte di Du Bois - Reymond dell’esistenza di un divario tra il corpo e l’anima come "limite insormontabile per la conoscenza della natura" (1872) si é fino ad oggi dimostrata valida.

Nel XVIII secolo si riesce a riconoscere se un tumore é benigno o maligno dall’intensità del dolore. Nell’ "Encyclopédie" francese si parla si pazienti affetti da cancro che desideravano morire per potersi finalmente liberare dalle loro sofferenze. Il non riuscire a liberare queste donne dal dolore divenne fonte di dolore anche per gli stessi medici; la loro terapia non può più consistere nel consolare e nel distrarre il malato ("consoler et amuser le malade").

Nessuno deve essere costretto a sottoporsi ad un’operazione dolorosa: "Chi preferisce lasciarsi morire piuttosto che restare mutilato o deturpato dalle cicatrici deve essere libero di scegliere finché si trova nelle condizioni di poter esprimere la propria volontà", si legge nell’ Allgemeinem Handwörterbuch der philosophischen Wissenschaften" (Piccolo Dizionario universale delle Scienze filosofiche) di Krug. L’arte della caricatura cerca a suo modo di arrivare ad un compromesso col dolore ed i suoi attacchi.

L’idealismo ed il romanticismo hanno sviluppato nuovamente interpretazioni estetiche, filosofiche e teologiche che vanno oltre l’eziologia, la fenomenologia e la terapia medica. Kant si lascia stimolare dalla storia nella sua lotta contro i dolori della gotta (Del dolore dell’animo). Con una distinzione particolare, egli esamina i rapporti tra i sentimenti del corpo e le sensazioni dello spirito, sottolineando anche la dimensione antropologica del dolore: "Il dolore é stimolo dell’attività e solo agendo ci sentiamo vivi".

Lichtenberg ricorda giustamente che "Ci si lamenta così tanto per ogni dolore e raramente si gioisce quando non se ne prova alcuno". Schelling e Hegel danno al dolore un senso naturalistico e spirituale che viene espresso anche dai poeti dell’epoca. Secondo Hegel il dolore é il "privilegio delle nature viventi", come il "privilegio delle nature superiori".

Le lacrime "non sono soltanto l’espressione del dolore ma anche la sua alienazione". Il dolore é "comunque soprattutto lo scorrere della vita temporale e, soggettivamente, la contrizione dell’animo". Novalis spiega le sofferenze croniche - anche nel loro aspetto di dolore - come il "tirocinio dell’arte di vivere e della formazione dell’animo".

Questa sua interpretazione appare ancora più chiara nell’opera "Henrich von Ofterdingen" in un collegamento trascendentale tra la cosmologia e l’antropologia: "il nuovo mondo nasce dal dolore e le ceneri si dissolvono in lacrime come filtro per la vita eterna".

Per Jean Paul é più facile "aumentare i dolori e moltiplicarli in tanti di minore intensità che le gioie". Giacomo Leopardi si attacca disperatamente all’idea della vanità di un’esistenza che conosce solo il dolore ("tutto é vano, altro che il duolo"), Hölderling é convinto che gli dei colpiscono colui che amano; come scrive al suo amico C.U.Böhlendorf dopo aver fatto ritorno da Bordeaux e all’inizio della sua malattia mentale, lui stesso é stato "colpito da Apollo".

Per Goethe l’arte, "quando si collega al dolore, deve acuirlo per poi poterlo mitigare e trasformarlo in sentimenti più elevati di consolazione". Goethe non ha trascurato l’aspetto sociale del dolore: "Il proprio dolore ci insegna a condividere quello degli altri".

I progressi fisico-fisiologici del XIX secolo danno nuovi impulsi alle possibilità terapeutiche della medicina. Con la scoperta dell’etere da parte di Morton nel 1846 ha inizio la vera storia dell’anestesia, sebbene fin dall’antichità fossero stati fatti tentativi per mitigare il dolore.

La morfina, scoperta da Sertürner nel 1804, viene utilizzata come analgesico dal 1844. Non bisogna omettere il mesmerismo, da cui poi si é sviluppata l’ipnosi.

Le nuove descrizioni del dolore destano una grande impressione. S.W.Mitchell ottiene il classico rapporto sulla causalgia grazie alla testimonianza di Josef Corliss, ferito durante la guerra civile americana: "E’ come se qualcuno ti sfregasse nelle ossa una sbarra di ferro tagliente, ferro rosso incandescente, nel punto tra la palma della mano ed il pollice, e su questo gravasse un forte peso. Credevo che mi stessero grattando via la pelle dalla punta delle dita".

Lo sviluppo della medicina naturalistica, dell’anestesia e di una mentalità più positiva nel corso del XIX secolo ha un fondamento comune. Col predominio dell’oggettivo il soggetto - a cui spesso restano fedeli i pittori del XX secolo - passa in secondo piano.

L’esempio di François Magendie dimostra quanto la reazione di fronte al dolore, persino nel caso degli scienziati del XIX secolo, dipenda da aspetti che trascendono la scienza. In un discorso tenuto alla Académie des Sciences di Parigi, il grande fisiologo attacca duramente quei medici che "hanno talmente avvelenato i loro pazienti fino quasi ad ucciderli per potergli poi tagliare e affettare con vero piacere, senza che provino dolore".

Magendie afferma in quest’occasione con grande enfasi: "Il dolore é la principale forza motrice della vita. Io non permetterei mai ad un chirurgo di ridurmi il mio corpo in uno stato così privo di resistenza". L’anestesia con l’etere é da rifiutare perché i criminali potrebbero sfruttare questo stato; persino le donne corrono il rischio di perdere le staffe: "Le donne inebriate in questo modo si sono poi scagliate contro il chirurgo con gesti e parole così forti che in una simile situazione, del resto piuttosto insolita, non é il paziente ad essere in pericolo ma il medico".

Con il XI ed il XX secolo si giunge a nuove interpretazioni mediche del dolore. Basti solo ricordare i nomi di J.Müller, M.Schiff, H.Head, C.S.Sherrington. M.vonFrey, A.Goldscheider, O.Foerster, H.R.Marshall, D.C.Sinclair, G.Weddel, R.Melzack, P.D.Wall e molti altri. Vengono fondati istituti per la ricerca sul dolore, all’istituzione della "International Association for the Study of Pain" nel 1973 fanno seguito numerose società affiliate a livello nazionale; si associano anche le riviste specializzate in materia.

I temi trattati e le teorie avanzate sono molteplici. Si studia il dolore nella sua importanza per lo sviluppo dell’individuo e del genere umano, lo si discute nella sua funzione positiva come anche in quella negativa, poiché ha un aspetto sia fisiologico che psicologico; per questi motivi lo si deve poter controllare, ma ciononostante resta incomprensibile.

Le teorie della specificità, le teorie dell’impulso, le teorie dell’intensità e le teorie dei campioni del dolore coesistono oppure si tenta di superarle con riferimenti integrativi - come nel caso di Melzack e Wall con la loro "Gate-Control-Theorie", molto importante anche per la terapia.

Questa teoria si basa sulla concezione secondo la quale "un meccanismo nervoso nelle corna posteriori del midollo spinale funziona come una "porta" che può intensificare o indebolire il flusso degli impulsi nervosi dalle fibre periferiche al sistema nervoso centrale". Melzack é comunque già conscio del fatto che con le nuove scoperte scientifiche sono diventate necessarie delle nuove teorie del dolore.

Gli ulteriori progressi della chimica e della biochimica (encefalina, endorfina, oppioide proprio dell’organismo) sembrano promettere un futuro in cui sarà possibile eliminare il dolore e allo stesso tempo, mantenerne la coscienza.

Il XX secolo ha tuttavia avanzato anche numerose interpretazioni artistiche, teologiche e filosofiche del dolore. Rike parla del mondo anonimo e disumano del dolore ("ce plan insituable et si peu humain"). Nel suo "Brave New World" (1932) Aldous Huxley esprime i pericoli di un mondo senza dolore.

Frida Kahlo raffigura il proprio dolore dandogli un’espressione generale e monitoria. Max Scheler afferma in questo senso: "Un’esistenza senza dolore induce ad una leggerezza metafisica". Haidegger, Sartre e Jaspers portano avanti delle interpretazioni del dolore che vengono recepite anche dalla medicina. E’ di Wittgenstein la frase: "Hai appreso il concetto di dolore imparando a parlare".

Nel caso di diagnosi del tempo come Ernst Junger troviamo osservazioni che legano in uno stretto rapporto interiore il pathos della vita con i tentativi della medicina di evitare il dolore: "Il segreto della sensibilità moderna si basa sul fatto che essa corrisponde ad un mondo in cui il corpo coincide con lo spirito. Questa constatazione spiega in modo chiaro il rapporto di questo mondo con il dolore come potenza da evitare perché colpisce il corpo non come un avamposto ma come la forza principale ed il nucleo della vita stessa". Conseguentemente anche Jünger afferma: "Parlami del tuo rapporto col dolore e ti dirò chi sei".

La medicina antropologica del XX secolo é quella che é stata maggiormente influenzata da queste concezioni dell’arte, della filosofia e della teologia. Nella usa "Pathosophie" (1956) Victor von Weizäcker fa un’analisi del dolore nelle sue diverse manifestazioni e, allo stesso tempo, del fatto se sia giusto o meno eliminarlo. Gebsattel interpreta il dolore nella prospettiva della separazione tra l’io e il corpo.

Plügge si interessa con particolare intensità al dolore cardiaco.

A.v.Auersperg contribuisce con i suoi studi ad una realizzazione dell’interpretazione medica del dolore che ha avuto inizio con il dualismo cartesiano e che ancora oggi é valida. Secondo Buytendijk il dolore é un’apparizione fisica che l’uomo sempre percepisce, valuta e a cui dà una risposta; il malato é sempre influenzato dalla società e dalla cultura. Ma già a livello fisico il dolore ha senso o significato: "L’uomo che soffre ha un altro corpo ed é un altro uomo".

Il linguaggio del dolore é particolarmente vario - del dolore fisico e spirituale, quest’ultimo ancora diverso nell’aspetto psicologico e psicopatologico: nella tristezza e nella paura, nella malinconia e nella depressione. Altrettanto grandi sono però anche le differenze dei dolori fisici: il mal di denti, le coliche, il dolore da ustione, l’emicrania, il dolore cardiaco.

Decisiva per la diagnosi e la terapia é la descrizione del dolore in base alle categorie della localizzazione, del tempo, della quantità e della qualità. Il medico ed il paziente si scontrano sempre con i limiti del linguaggio e, soprattutto, della comunicazione. Questi limiti sono un tema dominante nell’arte.

Nel "Totenklage" (1984) di Werner Helwing sulla morte di sua moglie Yvonne si legge: "Il dolore é uno degli elementi della grande alchimia. L’insopportabile, le pene, l’orrore trovano il loro valore di movimento del progresso dell’insieme degli eventi. Tuttavia nel singolo caso e per il singolo ogni volta si tratta di una rovina. E le parole con cui tentiamo di spiegarcelo non bastano, sono come sabbia in una tempesta nel deserto".

Prospettiva d’insieme

La retrospettiva storica chiarisce col mutare delle posizioni le dimensioni fondamentali del concetto di dolore e delle reazioni individuali e sociali. Il dolore é una caratteristica dell’organismo solo nella sua coscienza di organismo umano. Il dolore ha una dimensione spirituale e trova un’espressione mimico-gesticolata.

Il dolore diviene un appello al mondo circostante che può esserne colpito o risparmiato. Il dolore, come aspetto fondamentale della realtà, é in definitiva un fenomeno spirituale che ha ripetutamente trovato un’interpretazione nelle arti, nella teologia, nella filosofia.

Lo sviluppo storico dall’antichità, attraverso il medioevo e l’età moderna fino al presente, può essere concepito come una diversa accentuazione e caratterizzazione di questa dimensione in presenza di un continuo progresso medico-naturalistico nella teoria e nella pratica.

La cosmologia e l’antropologia dominano l’antichità, la trascendenza il medioevo, la secolarizzazione l’età moderna. Questi passaggi si osservano anche nella storia del dolore, come del resto non si possono scordare i ripetuti tentativi nell’oggettività empirica, nella cosmologia, nell’antropologia e nella metafisica del dolore.

Accanto al cambiamento c’é la durata; la valutazione del dolore é mutata, ma é difficile dire quanto sia mutata la percezione del dolore.

Nel dolore la natura a la cultura si uniscono: oltre alla teologia ed alla filosofia, sono molteplici gli impulsi delle arti. "trasformare in speranza il dolore del mondo" é il titolo di un’opera di Pablo Neruda. "La conoscenza del dolore", un romanzo di Carlo E. Gadda; non sarebbe possibile descrivere meglio di così i compiti del futuro per la scienza, il medico e coloro che soffrono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prof. Dietrich von Engelhardt

Universität zu Lübeck

Institut für Medizin und Wiessenschaftsgeschichte

Königstrasse 42

D-2400 Lübeck 1