RIANIMAZIONE APERTA
Il progetto architettonico del reparto di rianimazione a Pistoia nasce intorno alla seconda metà degli anni ottanta. All'epoca si pensava che la struttura di una rianimazione dovesse essere creata in modo da "proteggere e isolare" il più possibile l'Unita Operativa rispetto all'esterno ed era convinzione comune che un paziente in condizioni critiche dovesse essere protetto da emozioni, rumori, possibili contagi; si riteneva inoltre che i pazienti ricoverati in terapia intensiva fossero tutti e sempre in stato di incoscienza e che di conseguenza vi fosse poco bisogno di comunicazione. Per questi motivi la nostra terapia intensiva si presenta a tutt'oggi senza finestre, priva di luci naturali, dotata solo di luci al neon e di un'unica porta di accesso al reparto, che può essere aperta solo dal personale in servizio.
Alla fine del 1989 l'accesso dei familiari nella nostra terapia intensiva era consentito una sola volta nell'arco della giornata, poteva entrare un solo familiare vestito con camice, calzari, cuffia e talvolta mascherina. Ai nostri pazienti non era concesso avere vicino a sè alcun oggetto personale; la durata della visita era di circa 20 minuti.
Ecco che per tutti gli anni novanta noi abbiamo interpretato il modello tipico di una terapia intensiva chiusa, cioé di un reparto dove gli operatori sanitari, al fine di raggiungere un obiettivo che é certo di primaria importanza, quale il salvare la vita di una persona, ne operano una sorta di sequestro.
Non si era forse mai pensato che il paziente veniva così privato della vicinanza dei propri cari e che così si aumenta la sua sofferenza, lo stress e l'ansia dovute al totale isolamento, alla gravità della malattia, alla presenza di persone sconosciute in un ambiente altamente tecnologico ed estraneo.
Nella seconda parte degli anni novanta abbiamo iniziato una riflessione critica sul nostro comportamento, partendo dal convincimento che:
Un reparto di un ospedale non dovrebbe essere percepito come un luogo dove una serie di barriere si chiudono intorno alla persona ricoverata.
Gli operatori sanitari non lavorano solo con la persona ammalata, ma con un gruppo familiare di affetti che costituisce un sistema emozionale complesso e che reagisce con grande sofferenza all'isolamento.
A questi convincimenti si sono aggiunti:
Le sempre più numerose riflessioni presenti in letteratura, ma anche personali, sull'accanimento terapeutico, problema molto evidente nelle terapia intensive dove si pratica una medicina ai limiti e molto facilmente si tengono lontani i familiari dalla persona morente per poter praticare gli ultimi tentativi terapeutici, che spesso sappiamo ormai inutili.
La sempre più precisa individuazione di quali sono i bisogni percepiti come più importanti dai familiari dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Nell'anno 2000 una revisione della letteratura rispetto agli studi che hanno indagato a livello internazionale i bisogni dei familiari dei pazienti ricoverati in un contesto di Terapia Intensiva ha evidenziato che i familiari ritengono fondamentale:
Ricevere rassicurazione
Rimanere vicini al proprio congiunto
Essere informati
Essere sostenuti e messi a proprio agio.
Sulla base di queste riflessioni abbiamo quindi iniziato un processo di apertura per rendere più accogliente la nostra terapia intensiva, cercando di individuare e possibilmente rimuovere o ammorbidire tutte le limitazioni non motivatamente necessarie poste a livello fisico e relazionale presenti nella nostra organizzazione e nei nostri modelli di comportamento.
Questo processo ha richiesto, dal punto di vista umano, una crescita graduale e talvolta conflittuale di tutto il personale della terapia intensiva; operare in questo modo e' come utilizzare un farmaco molto particolare che ha effetti anche su chi lo somministra, quindi dobbiamo imparare a conoscerne gli effetti collaterali o non desiderati e sviluppare gli strumenti per gestirli, con l'aiuto di uno psicologo, ma soprattutto avendo ben presente che dobbiamo andare verso la relazione umana e che l'umanizzazione della medicina non si fa individualmente, ma é necessario un lavoro di gruppo e l'acquisizione di abilità attraverso l'esempio.
Dobbiamo sempre tener presente anche che Rianimazione aperta non significa senza regole.
Si tratterà comunque di chiedere il rispetto di alcune norme:
IGIENICHE, lavaggio mani
DI SICUREZZA, attenzione agli strumenti elettromedicali
GESTIONALI, allontanarsi in caso di manovre, avere il tempo e lo spazio necessari per eseguire bene il nostro lavoro.
Ogni singola terapia intensiva può diventare, se il gruppo degli operatori sanitari coinvolti lo vuole, sempre più accogliente e umana rielaborando e modificando la propria organizzazione nel tempo, sulla base di un lavoro di revisione critica del proprio operato.
Concludiamo questo breve racconto della nostra esperienza sostenendo che il successo di una terapia intensiva non deve essere misurato solo con le statistiche di sopravvivenza ma anche in base alla qualità delle relazioni umane che si instaurano fra gli operatori sanitari, le persone ammalate ed i loro nuclei familiari; relazioni umane che consentono di prendere in cura la persona ammalata, di supportarla insieme al suo gruppo familiare anche quando i farmaci e le capacità tecniche non sono più utili ed insistere solo con essi diventa prima ostinazione terapeutica, poi accanimento terapeutico o meglio trattamento futile.
Dr. Leandro BARONTINI
Inf. Prof. Silvia VIGNALI
Terapia Intensiva Ospedale di Pistoia