La
Regione Toscana: realtà e prospettive delle cure palliative
In ambito pediatrico
S.
Caprilli, A. Messeri, P. Busoni
Servizio Terapia del Dolore e Cure Palliative
AO. Meyer, Firenze
La malattia grave di un bambino che conduce alla morte è un evento tragico che colpisce tutta la famiglia e in modo particolare i genitori. Questi, abituati a far crescere il proprio figlio, sono improvvisamente costretti ad assistere alla sua morte, accompagnarlo in questa fase e prendere decisioni per come gestire la situazione.
Anche per gli operatori sanitari è spesso molto difficile occuparsi del bambino in questa fase poiché suscita sensazioni di impotenza. La nostra formazione di medici e infermieri è centrata sul salvare e prolungare la vita e in generale per lo staff medico la morte è vista come un fallimento. Talvolta gli operatori hanno profonde difficoltà e angosce nell’accompagnare il bambino verso la morte e sospendere i cosiddetti atti curativi a favore di interventi palliativi.
LA MEDICINA PALLIATIVA IN PEDIATRIA
In una società moderna ci si aspetta che i bambini sopravvivano ai loro genitori, tuttavia è stato calcolato che solo negli USA ogni anno muoiono 53000 bambini per cause varie (eventi traumatici, condizioni congenite, prematurità, patologie acquisite). Sempre negli U.S.A. viene fatta diagnosi di cancro a circa 12.400 bambini e negli ultimi 30 anni, i progressi scientifici e tecnologici, l’avvento di centri specializzati per il trattamento del cancro, hanno aumentato la sopravvivenza globale dal 10 al 70%. Tuttavia il tumore resta ancora la principale causa di morte da malattia nel bambino. Nel 1998, 2500 bambini sono morti per cancro negli U.S.A. In Italia muoiono circa 400 bambini ma non si hanno attualmente dati più specifici sulle condizioni in questa fase della vita.
Sfortunatamente i miglioramenti nella gestione della fase terminale del bambino con cancro non sono stati al passo con i progressi della cura.
Essendo le cause di morte dei bambini sostanzialmente diverse da quelli degli adulti le reazioni emotive che questo evento comporta nei familiari sono spesso molto complesse, per cui le linee guida di Cure Palliative che di solito sono applicabili negli adulti, non possono essere trasposte in campo pediatrico. Per bambini in fase terminale di vita i medici hanno il dovere morale ed etico di assicurare che la tecnologia e le conoscenze mediche saranno utilizzate solo per offrire la migliore qualità di vita al bambino e alla sua famiglia.
Le Cure Palliative mirano a migliorare la qualità di vita nella fase terminale della vita. I trattamenti palliativi si focalizzano sul sollievo dai sintomi (dolore, dispnea) e delle condizioni (solitudine) che causano stress e diminuiscono il benessere del bambino. Si mira inoltre ad assicurare che la famiglia colpita dal lutto rimanga funzionale e il più possibile integra.
Le cure palliative includono il controllo del dolore e di altri sintomi in fase terminale di malattia e si rivolge ai problemi psicologici, spirituali e sociali dei bambini e delle loro famiglie. Lo scopo delle cure palliative è quello di raggiungere la migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie in conformità ai loro valori senza riguardo per la sua posizione.
BARRIERE NELLA CURE PALLIATIVE DEL BAMBINO
In uno studio pubblicato recentemente su una rivista prestigiosa quale il New England Journal of Medicine, gli autori riportano i risultati di un questionario proposto a 103 genitori di bambini che sono morti di cancro tra il 1990 e il 1997 e che sono stati curati in 2 importanti ospedali statunitensi. Da queste interviste è emerso che la metà dei bambini sono morti in ospedale, e la metà di questi in rianimazione e la maggior parte di loro (89% del campione totale) ha sofferto molto con la presenza di sintomi quali dolore (76%), dispnea (65%) che è stata trattata con successo solo in una piccola parte dei casi (meno del 30%).
Questo importante lavoro mette in luce le carenze e le barriere nell’applicazione delle cure palliative ai bambini che sono in fase terminale. I professionisti ricevono un training inadeguato nel controllo del dolore e dei sintomi e durante il corso di studi sono previsti pochi insegnamenti sui bisogni emotivi e psicologici di questi bambini e dei loro genitori o su come parlar loro della morte. C’è inoltre una mancanza di conoscenze scientifiche sull’uso di medicine e di altri trattamenti per le cure palliative. Da ciò può risultare una gestione dei sintomi inefficiente e l’incapacità dei medici di parlare apertamente ai familiari del paziente della morte a causa del loro stesso disagio su questi argomenti (1).
LE RACCOMANDAZIONI PER LE CURE PALLIATIVE DEL BAMBINO
Nel 1999 viene pubblicato un documento che fornisce le "raccomandazioni" per l’assistenza sanitaria al bambino alla fine della vita, a cura di un gruppo di studio nell’ambito della SIOP, la Società Internazionale di Oncologia Pediatrica (2).
I suggerimenti proposti si riferiscono a 2 periodi della fase terminale della vita di un bambino che muore di tumore:
2- il secondo periodo è quello che va dall’inizio delle cure palliative alla morte del bambino e oltre .
1- I suggerimenti proposti per assistere il bambino nella prima fase, durante il passaggio dall’assistenza curativa a quella palliativa, sono i seguenti:
2 - Nella fase successiva, per assistere il bambino terminale nel periodo di cura palliativa e per assistere la famiglia dopo la morte, i suggerimenti dati dal gruppo di studio prevedono ulteriori e più specifici punti:
Ulteriori indicazioni sulla presa in carico del bambino in fase terminale sono state fornite recentemente in ambito internazionale. L’ American Academy of Pediatrics (AAP) ha infatti pubblicato nel 2000 un articolo in cui specifica le linee guida per le cure palliative al bambino e stabilisce che lo scopo è quello di garantire la migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie. La AAP sostiene un modello integrato in cui le cure palliative sono offerte a partire dalla diagnosi e continuano nel corso della malattia sia che questa evolva verso la guarigione o verso la morte. Se le cure palliative vengono destinate solo al bambino che sta morendo o che è in fase terminale, gli altri pazienti che potrebbero trarne alcuni benefici non avranno la possibilità di riceverli. Il momento della morte è difficile da predire e se la vicinanza dalla morte è utilizzata come criterio per l’applicazione delle cure palliative, allora alcuni bambini potrebbero morire senza i benefici delle cure palliative e del trattamento individualizzato.
LA COMUNICAZIONE CON IL BAMBINO MORENTE
Naturalmente uno degli aspetti più difficili e delicati in questo settore è rapportarsi al bambino che sta morendo. Fino alla pre-adolescenza i bambini generalmente comprendono la morte a un livello diverso da quello degli adulti e hanno un modo del tutto personale di esprimere la loro conoscenza e le emozioni riguardo alla morte, indipendentemente dal livello cognitivo e di sviluppo raggiunti. Tuttavia è stato visto che i bambini con tumore spesso raggiungono una comprensione di cosa significhi la morte a un’età più giovane dei loro coetanei sani.
Spesso è difficile trovare il momento giusto per iniziare a comunicare con il bambino sulla sua situazione, in quanto vanno rispettati meccanismi di negazione della famiglia e certi preconcetti culturali. Tuttavia non si può ignorare che i bambini sono sempre consapevoli di ciò che sta loro succedendo e di quali sono le loro condizioni e spesso se si nascondono dietro il silenzio è perché vogliono proteggere i genitori. Nel caso di eventuali sensi di colpa raccontati dal bambino, evento piuttosto frequente, è importante che possa essere rassicurato, spiegandogli che non ha fatto niente di male e che non è colpa sua se adesso sta soffrendo.
La reazione emotiva del bambino morente deve essere gestita e condivisa: è importante che chi se ne prende cura lo aiuti a esprimere i sentimenti di rabbia, paura, tristezza e solitudine e a manifestare ansie e angosce. Se il bambino preferisce invece parlarne con la famiglia, i curanti dovranno preparare e sostenere i genitori in questo difficile compito. G. di 13 anni in fase terminale per un tumore di Ewing con metastasi polmonari, chiedeva spesso alla madre "perché non guarisco?". La madre era in difficoltà perché non sapeva come e se spiegare alla figlia la situazione, per cui è stato organizzato un incontro con medici e volontari per trovare insieme la strada migliore e aiutare G. e la madre. È stato poi deciso di dire alla ragazza che le sue condizioni erano un evolversi della malattia e che i medici l’avrebbero aiutata a non sentire dolore, senza specificare quale sarebbe stato l’esito, a meno che non l’avesse chiesto lei direttamente (dati personali).
I RAPPORTI CON I GENITORI
Per quello che riguarda i rapporti tra il centro curante e i genitori, quando il medico fa la diagnosi al bambino, il passo più difficile per un genitore è quello di accettare la realtà di trovarsi di fronte a una malattia grave; tuttavia solamente se il genitore riesce ad adattarsi psicologicamente alle cure, potrà riuscire a focalizzarsi sulla qualità di vita del bambino. A questo scopo è importante che i medici riescano a fornire un supporto continuo ai familiari, per impedire che possano sentirsi soli e abbandonati. I medici dovranno essere pronti, soprattutto nei casi in cui la morte è inattesa, di aiutarli a superare il lutto e i sensi di colpa, con un aiuto che prosegue anche dopo la morte.
C’è spesso una difficile decisione da prendere, ovvero quella del luogo in cui trascorrere la fase terminale.
Le emozioni di angoscia, sgomento e depressione che invadono comprensibilmente il nucleo familiare rendono i genitori incerti e dubbiosi su cosa fare, anche per via dei limiti organizzativi delle nostre strutture e per la lontananza che spesso c’è tra l’ospedale e la casa.
Nella nostra esperienza abbiamo incontrato genitori che decidono di tornare a casa per far trascorrere al bambino l’ultima fase di vita nel suo ambiente, con i suoi cari, seguiti dalle cure domiciliari. Altri scelgono l’ospedale perché si sentono più sicuri delle cure e protetti o perché non vogliono ricordarsi del bambino che muore in casa (l’evento affrontato in ospedale li aiuta a isolare psicologicamente la sofferenza).
Ad esempio i genitori di I. di 1 anno, colpita da un tumore cerebrale incurabile, scelsero di passare gli ultimi mesi di vita della piccola bambina in reparto, in quanto avevano altri 2 bambini a casa (di 1 anno e di 6 anni) che volevano proteggere il più possibile da questa esperienza. La madre diceva "se porto I. a morire a casa è sicuramente meno faticoso per noi, ma poi succede che il tumore invade tutta la famiglia" (dati personali).
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE NELLE CURE PALLIATIVE IN AMBITO PEDIATRICO
Per raggiungere un trattamento adeguato del bambino nella fase terminale, come più volte sottolineato, i bisogni e i desideri del bambino e della famiglia dovrebbero essere una priorità e il miglior approccio probabilmente varia non solo da centro a centro, ma anche da caso a caso.
Gli standard minimi per le cure palliative in pediatria prevedono la presenza di almeno una persona che si occupi del bambino in maniera valida e consistente (un genitore, un familiare, un volontario ecc..) e la disponibilità di un centro di cure palliative continue 24 ore al giorno e 365 giorni l’anno che possa anche provvedere ai bisogni psico-sociali. Come una singola persona non può provvedere da sola a tutte le necessità del paziente e della famiglia, le cure palliative possono essere applicate solo con un approccio multidisciplinare: all’interno del team deve essere previsto un medico, un infermiere, assistente sociale, psicologo, assistente spirituale, un animatore. Inoltre, come già sottolineato, il bambino dovrebbe il più possibile partecipare alle scelte a seconda delle sue capacità, della sue esperienza di malattia, e del grado di consapevolezza riguardo alla prognosi devono essergli date le informazioni appropriate sullo stato di avanzamento della sua malattia, sempre nel rispetto dei suoi desideri.
Ogni intervento terapeutico deve essere considerato all’interno degli obiettivi, delle aspettative del bambino e della sua famiglia e come le scelte terapeutiche possono variare a seconda del progredire della malattia, anche le decisioni del paziente possono essere modificate. Discussioni e confronti continui nell’équipe possono facilitare questi cambiamenti. Lo scopo è di aggiungere vita agli anni del bambino e non anni alla sua vita (3). Il compito di aiutare un bambino a passare attraverso e nella fase terminale di una malattia è estremamente faticoso e doloroso sia da un punto di vista emotivo che pratico e i valori personali, filosofici e culturali della famiglia e dei componenti dello staff di assistenza condizionano l’evolversi della situazione.
realtà e prospettive nelLa Regione Toscana: l’esperienza dell’ospedale meyer
Nella regione Toscana le Cure Palliative in campo pediatrico vengono attualmente applicate grazie ad una sinergia di progetti messi in atto da diversi organismi e coordinati dal Servizio di Terapia del dolore e Cure Palliative dell’AO Meyer. In particolare tali progetti prevedono:
Negli ultimi 2 anni, dal giugno 2000 al luglio 2002, all’ospedale Meyer si sono avuti circa 25 bambini terminali che hanno necessitato di assistenza palliativa. Di questi 25 bambini 21 erano affetti da patologia tumorale, 2 neonati con patologia malformativa, e 2 pazienti con malattia congenito/metabolica.
Per quello che riguarda la provenienza 4 venivano da paesi stranieri, 4 da varie regioni italiane e 17 dalla regione toscana, di cui solo 6 erano della provincia di Firenze.
Dei 25 bambini, 6 sono morti a casa e 19 in ospedale, di cui 18 al Meyer ed 1 all’ospedale di Lucca. Invece tra i 6 bambini morti a casa 2 erano della zona fiorentina, 2 fuori Regione Toscana (ma che hanno deciso di rimanere nella zona di Firenze per l’assistenza terminale) e 2 provenivano dall’Albania. La lontananza dalla città di origine rende spesso la situazione ulteriormente difficile per una serie di problemi legati all’abitazione, alla mancanza dei punti di riferimento familiari.
I sintomi che più spesso questi bambini hanno presentato sono stati il dolore, la dispnea con relativi stati di angoscia.
La morfina per os a dosi adeguate, insieme ad altri farmaci adiuvanti, ha permesso di controllare il dolore in oltre l’80% dei casi. La costipazione e la difficoltà a urinare è stato l’effetto collaterale più frequente e fastidioso per il paziente. Non abbiamo mai osservato la temuta depressione respiratoria anche con dosaggi altissimi di oppiacei.
Il trattamento per la dispnea ha previsto in 6 casi l’abolizione della coscienza per un periodo variabile da poche ore fino anche a 4 settimane. Tale sedazione terminale ha comportato anche problemi tecnici con la somministrazione di farmaci e ha creato interrogativi in tutto il personale medico ed infermieristico coinvolto, ponendo anche la questione "eutanasia". E’ importante sottolineare che provvedere ad un adeguato trattamento analgesico per un bambino non è la stessa cosa che porre termine alla sua vita anche nell’improbabile eventualità che dosi adeguate di farmaci antidolorifici e/o sedativi abbia l’effetto di abbreviare la vita. Se le condizioni cliniche del bambino mutano tanto da far giudicare inutili i trattamenti prima ritenuti necessari, sospendere tali trattamenti non è eutanasia (OMS vd.6).
In alcuni casi abbiamo utilizzato tecniche non farmacologiche di respirazione e di rilassamento per aiutare il paziente (soprattutto in età adolescenziale) a controllare stati di ansia, anche con l’aiuto della musica (con personale specificatamente preparato della Fondazione Livia Benini).
Non sempre è stato possibile garantire ai bambini in fase terminale una adeguata qualità di vita. Molti sforzi devono ancora essere fatti nelle cure palliative del bambino, in particolar modo nella sensibilizzazione e formazione del personale sanitario che si prende cura del bambino in fase terminale.
BIBLIOGRAFIA