La fine della vita nei bambini: fra eutanasia e accanimento terapeutico

La morte è sempre un argomento che suscita angoscia, la morte di un bambino è per natura rifiutata da tutti. In una società, che sempre più frequentemente chiede "eterna giovinezza e immortalità", è difficile affrontare la realtà della morte di un bambino sia nella pratica che nella riflessione. In passato la morte, anche di un minore, era più integrata nella vita ordinaria: più frequentemente il bambino moriva a casa attorniato dai genitori, dai fratellini da nonni, vicini ed amici. Al giorno d'oggi si tenta di esorcizzare questa fase della vita in diversi modi: rimuovendola dai discorsi ordinari, occultandola negli ospedali, banalizzandola o facendone spettacolo attraverso i mezzi di comunicazione.
C'è un altro aspetto che, soprattutto per quanto riguarda i bambini, conferisce all'evento della morte una nuova fisionomia. Esso è determinato dai progressi della medicina. Fino a quindici, venti anni fa i bambini affetti da tumore morivano precocemente nel 70-80% dei casi, oggi tale andamento si è completamente ribaltato e si ha una guarigione nel 70-80% delle volte. Malattie come la fibrosi cistica portavano a morte nell'adolescenza, oggi è normale arrivare in età adulta. Per malattie più rare, che conosciamo meno, in cui si pensava che la sopravvivenza fosse di pochi anni o addirittura di pochi mesi, la scienza tutti i giorni ci presenta soluzioni che consentono un prolungamento della vita difficilmente immaginabile. Tuttavia ci sono ancora delle patologie o delle situazioni non guaribili che portano alla morte del bambino (tab.1). Alcune di queste patologie sono conosciute molto bene; di altre, invece, ancor'oggi sappiamo poco. Nell'affrontare tali diversificate malattie si presenta un largo spettro di problemi legati anche agli impatti etici e decisionali. Inoltre, tali problemi si presentano anche con bambini molto piccoli, che non hanno mai sviluppato o articolato un insieme di valori o una capacità di comprensione, legata alla loro situazione. Diverso se il paziente è un adolescente o addirittura un adulto, come in certe patologie come la fibrosi cistica o in alcune malattie neuro-metaboliche.
I genitori e spesso anche i curanti hanno difficoltà a trovare un equilibrio, fra la sofferenza del bambino e il desiderio di fare tutto ciò che é possibile per prevenire una fine innaturalmente precoce della vita. In estrema sintesi si pongono degli interrogativi e devono essere prese una serie di decisioni legate al "Lasciare Andare" o al "Trattenere" e alla Potenziale Terapia per l'Allungamento della Vita portando spesso al dilemma di fare eutanasia o accanimento terapeutico.

Il progresso della medicina ha consentito di curare meglio o perfino di sconfiggere molte malattie. Questo però non può nascondere alcune ambiguità. Per esempio, le tecniche di rianimazione producono situazioni un tempo inimmaginabili: se da una parte consentono di superare, nel momento dell'urgenza, patologie in passato mortali, dall'altra parte possono dare luogo a situazioni assai problematiche. Può diventare "normale" ricorrere alla rianimazione anche in circostanze in cui la malattia di base non sia guaribile: ecco che i bambini lasciano la vita ed i loro cari attaccati alle macchine in reparti di terapia intensiva. Oppure si riesce sì a garantire il mantenimento delle funzioni vitali, ma in malattie che attualmente non hanno prospettive di una minima qualità di vita. La medicina rischia di considerare il corpo in una prospettiva esclusivamente meccanicistica, trascurandone le risonanze soggettivamente vissute, la dimensione simbolica e relazionale. Il corpo diventa un meccanismo di cui prolungare il funzionamento, e, nel bambino, è anche più facile che nell'adulto prolungare tale funzionamento perché il bambino è fatto per "durare". La malattia e la morte diventano un mero dato biologico la cui unica realtà è quella misurabile dagli strumenti. A questo punto diventa però necessario evidenziare le dimensioni del problema e fare un po' di chiarezza terminologica.
Ogni atto medico che abbia come esito un accorciamento della vita non è necessariamente eutanasia: non ricadono nella definizione di eutanasia né la somministrazione di analgesici a dosi convenienti per alleviare forti dolori in bambini in condizioni terminali, anche se la loro vita ne risultasse abbreviata, né la sospensione di cure che sono definibili come sproporzionate. Occorre allora precisare cosa si intenda per mezzi sproporzionati, poiché la loro applicazione definisce l'accanimento terapeutico: cioè un prolungamento della vita fisica non rispettoso della dignità della persona. La proporzionalità viene valutata tramite una comparazione tra alcune caratteristiche che attengono ai mezzi terapeutici in se stessi rispetto ai benefici attesi. In pratica si confronta la reperibilità, i costi, gli oneri psico-fisici ed i rischi della applicazione dei mezzi terapeutici con i benefici attesi e la loro corrispondenza con il mondo di valori e la visione di vita che è propria del soggetto. Le caratteristiche proprie dei mezzi sono quindi assunte in un giudizio personale del soggetto, che le interpreta e le valuta alla luce dei propri valori e del proprio bene complessivo in quanto persona.. Questa comparazione tende a promuovere condizioni di vita che, in prossimità della morte ineluttabile, siano il più possibile corrispondenti alla dignità della persona e al suo bene integrale, e non a un suo solo aspetto.

Se questi concetti possono essere validi per un adulto difficilmente si possono adattare ad un bambino e sono del tutto inadeguati per la stragrande maggioranza dei pazienti in età pediatrica. Pertanto in caso di LTC di un bambino è fondamentale stabilire quale possa essere il percorso da seguire durante la progressione della malattia. Il processo secondo un recente articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine prevede alcuni passaggi chiave che essenzialmente possono essere schematizzati nei seguenti punti:

  • identificazione di coloro che "prenderanno le decisioni" e loro inserimento nel processo
  • identificare le fasi evolutive della malattia ed informare la famiglia in modo comprensibile
  • individuare gli scopi della cura, spiegando chiaramente quali di questi siano curativi, quali di dubbio/non provato valore terapeutico e quali esclusivamente palliativi. E' necessario che tutta l'equipe curante ne sia a conoscenza
  • condividere le decisioni riguardanti le scelte di fine vita e stabilire se debbano essere usati LST (come per es. ventilazione meccanica, nutrizione artificiale ecc.) o se debbano essere interrotti. Offrire in anticipo una guida in tal senso e stabilire con chiarezza chi chiamare o chi tratterà i sintomi nella fase vicino alla morte del bambino

Come regola generale le decisioni del paziente e della famiglia anche se non riflettono quelle del team curante devono essere rispettate. Se tali scelte contrastano con i principi del percorso assistenziale stabilito è necessario riflettere ancora sulle scelte e discutere insieme valutando altre possibilità assistenziali. A volte può essere necessario l'assistenza di un esperto di problemi etici se le scelte non fossero condivise.

Dott. Andrea Messeri
(Responsabile Servizio di Terapia del Dolore Ospedale Meyer)
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